domenica 6 dicembre 2009

venerdì 9 ottobre 2009

Ippolita degli Azzi, eroina aretina



In onore a tutte le donne aretine....l'esempio di Ippolita


di Romano Valli
Ippolita degli Azzi alla quale il popolo Aretino anelante di riscossa dopo la sconfitta di Campaldino e desideroso di aggrapparsi ad un simbolo che lo riscattasse dalla sconfitta, le attribuì ben presto gesta leggendarie.

Ippolita fu donna,madre, moglie e guerriera. Nacque ad Arezzo e appartenne alla nobile casata degli Azzi. All’indomani dell’11 giugno del 1289 i capi ghibellini ed i giovani della migliore nobiltà fiorentina erano tutti morti compreso il “vescovo guerriero” e l’alleato Buonconte da Montefeltro, capitano dell’esercito, del quale non fu ritrovato nemmeno il cadavere. Nei giorni successivi allo scontro, i fiorentini presero Bibbiena.

Infine distruggendo e saccheggiando tutto al loro passaggio giunsero sotto le mura di Arezzo. La cinsero d’assedio, ritenendo di poterla espugnare facilmente. Ma non avevano fatto i conti con gli eroici difensori, considerando che a difendere la città erano rimasti solo donne vecchi e ragazzi. Anche se in realtà vanno considerate le malconce milizie scampate a Campaldino.

Ed è in questo contesto che si inserisce Ippolita degli Azzi, ad elevarsi al di sopra a tutti i cittadini la sua figura leggendaria e bella. Informata della eroica morte del suo sposo a Campaldino, giurò vendetta e impugnata la spada e il gonfalone del comune salì sulla torre più alta della città, e fatte suonare a distesa le campane, raccolse tutti i cittadini, ed al grido “vittoria o morte” li trascinò sulle mura incitandoli per una suprema e disperata difesa.

Così l’agguerrito esercito fiorentino, si trovò improvvisamente arrestato e respinto al suo giungere sotto le mura della città. Gli aretini dall’alto delle improvvisate difese avevano accolto gli assalitori con lancio di sassi, pece e acqua bollente, seminando tra le loro fila numerosi morti e feriti. Ed ecco un giorno un insolito clamore di trombe, provenienti dal campo nemico, che fece accorrere sulle mura tutti gli assediati ed un triste spettacolo si presentò ai loro sguardi.

Poco lontano nel mezzo di un prato, era il figlioletto di Ippolita rapito il giorno prima in un’incursione nemica. Il piccino piangendo gridava a gran voce mamma! mamma! Mentre un soldato faceva balenare sulla testa dell’innocente un acuminato pugnale. La tragica scena agghiacciò il sangue nelle vene degli aretini, un alfiere si avanzò facendo cenno di parlare, con voce tonante e sprezzante disse “o la resa della città o la morte di Azzolino”.

Seguì un silenzio glaciale degli aretini, ma ecco sull’alto delle mura comparire Ippolita degli Azzi, muta e sprezzante, le braccia incrociate fieramente sul petto! Poi l’intrepida donna avanzatasi sul limite estremo di un bastione, rivolgendosi quasi in atto di sfida verso i fiorentini, gridò “barbaro sfoga la tua rabbia su codesta innocente creatura.

Non per questo ti vanterai di aver superato gli ostacoli che hai dinanzi e che dovranno costarti molte vite e fors’anche la tua. Non per un fanciullo avrai il dominio su centinaia di vite. Colpisci dunque, viva la libertà”. Tutta questa forza di carattere destò profonda impressione tra gli stessi fiorentini, che la vita del piccolo Azzolino fu risparmiata.

Ci furono in seguito altri tentativi e stratagemmi escogitati dai fiorentini per obbligare l’intrepida Ippolita a consegnare le chiavi della città tutti tentativi andati a vuoto. Un giorno, un araldo dell’esercito fiorentino annunciò che il duca di Narbona avrebbe riconsegnato a Ippolita il proprio figlio come gesto di ammirazione per la sua fierezza. Di questa riconsegna fu incaricato il capitano Rinaldo de Bostoli, ex cittadino di Arezzo, scacciato per fazione di parte. Calata la visiera, fu introdotto in città.

Condotto dinanzi a Ippolita, alzata la visiera e ponendosi in ginocchio riconsegnò il figlioletto nelle sue braccia, mentre dalle labbra del guerriero uscivano parole dolci e soavi d’amore.

Ippolita ne fu commossa perché nutriva simpatia per Rinaldo bello, forte e audace; ma in quell’ora solenne al di sopra di ogni passione veniva la patria. Rinaldo ascoltato le fiere parole, si congedò e rientrò al campo dei fiorentini. Il giorno seguente all’alba, Ippolita, alla testa degli aretini, usciva cautamente dalla città e avvicinandosi al campo avversario dava fuoco alle tende e alle macchine da guerra.

Al bagliore delle fiamme si destarono i fiorentini e la battaglia divampò terribile. In mezzo a loro era Ippolita bella e sublime eroina. Messer Rinaldo vide la sua donna in pericolo e corse a difenderla. Anzi la vide barcollare e cadere al suolo ferita. Quindi facendosi largo tra i combattenti, e menando grandi e potenti colpi, si parò dinanzi a lei e come una belva abbattè tutti coloro che cercavano di avvicinarsi lasciando così agio agli aretini di trasportare dentro le mura la loro intrepida Ippolita, mentre Rinaldo veniva colpito da mille colpi, redimendosi, con una gloriosa morte per amore dal sacrilegio di aver portato le armi contro la sua città.

Il duca di Narbona saputo quello che era avvenuto decise di dare l’assalto generale. Ma ecco che sulle mura ancora una volta apparve quella donna con la spada in pugno, dritta fiera, incoraggiando i suoi soldati a continuare la lotta. Il duca di Narbona si vide perduto, intorno a se il fuoco, il terreno ricoperto di cadaveri e fu allora che diede l’ordine di ritirarsi e abbandonare l’assedio. Grande fu l’esultanza del popolo aretino per la vittoria, dovuta soprattutto all’audacia, al coraggio e all’eroismo della loro grande eroica concittadina: “Ippolita degli Azzi”.

di Romano Valli